Sentenza Francovich- Sentenza Corte di Giustizia 19 novembre 1991, cause riunite C 6/90 e C 9/90


principio risarcitorio dello Stato in caso di violazione del diritto comunitario.

La responsabilità degli Stati per violazione del diritto UE trova la sua fonte nella giurisprudenza della Corte di giustizia, che a partire dalla nota sentenza Francovich del 1991 affermò il principio risarcitorio dello Stato in caso di violazione del diritto comunitario.

Si tratta di una storica sentenza della Corte di Giustizia comunitaria con la quale veniva stabilito il principio che il mancato recepimento di una direttiva comunitaria entro la data ultima stabilita nel provvedimento poteva determinare, a certe condizioni, una condanna dello Stato e un obbligo di risarcimento del cittadino che fosse risultato leso dall’inadempiente comportamento; la portata innovativa della sentenza risiede proprio nell’affermazione di quest’ultimo principio da parte della Corte. Una delle caratteristiche delle direttive comunitarie è quella di concedere un determinato lasso di tempo agli Stati membri per poter recepire nel proprio ordinamento le nuove disposizioni (in genere due anni). Spesso però gli Stati risultano inadempienti, in quanto non provvedono in tempo a completare tutte le procedure per dare attuazione alle disposizioni comunitarie.

Nel caso esaminato nella sentenza Francovich lo Stato inadempiente era l’Italia, che non aveva recepito in tempo una direttiva sulla tutela dei crediti di lavoro in caso di insolvenza del datore di lavoro. Il mancato recepimento di tale direttiva aveva danneggiato tutti quei lavoratori che non potevano godere della speciale tutela loro accordata dalla normativa comunitaria; per questo motivo la Corte, oltre a rilevare l’inadempienza dell’Italia, aveva anche stabilito l’innovativo diritto del soggetto leso al risarcimento del danno ricevuto. Tuttavia nella citata sentenza la Corte aveva precisato che affinché potesse configurarsi un diritto al risarcimento dovevano verificarsi tre condizioni: — il risultato prescritto dalla direttiva doveva implicare l’attribuzione di diritti a favore dei singoli; — il contenuto di tali diritti doveva essere chiaramente individuabile sulla base delle disposizioni della direttiva; — doveva esistere un nesso di causalità tra la violazione dello Stato e il danno subito dal soggetto leso. La Corte non aveva pronunciato nessuna sentenza di condanna per inadempimento a carico dello Stato, cosa che d’altra parte le era preclusa dal momento che si trattava di un rinvio pregiudiziale. Il compito di accertare l’esistenza del danno, di stabilire il nesso con l’inadempienza dello Stato e di quantificare il danno subito spetta, secondo la Corte, al giudice nazionale. La Corte di Giustizia ha sempre affermato che in mancanza di una corretta e tempestiva trasposizione delle direttive, lo Stato non può opporre ai singoli il suo inadempimento agli obblighi espressi dalla direttiva inattuata. Il principio affermato dalla Corte è che, non solo gli Stati membri, ma anche i loro cittadini sono soggetti all’ordinamento giuridico comunitario, ed in base a ciò sono titolari di diritti ed obblighi discendenti da esso: l’obbligo gravante sullo Stato, ex articolo 249 Trattato CE, di dare attuazione alle direttive, corrisponde al diritto vantato dai singoli di vedere applicate le norme comunitarie. Tutto ciò rappresenta un esempio di applicazione rafforzata del principio dell’efficacia diretta e del principio del primato del diritto comunitario, ma uno dei punti sui quali la sentenza Francovich differisce rispetto alla precedente giurisprudenza è che la responsabilità dello Stato è determinata non più in base al diritto interno, ma in base al diritto comunitario, lasciando agli ordinamenti nazionali solo gli aspetti meramente procedurali (punti 41 e 42 della sentenza). La portata innovativa della sentenza sta nel fatto che, nonostante siano numerosi i casi di direttive non attuate dagli Stati membri, viene esercitata una forte pressione affinché ciò avvenga, in quanto lo Stato si espone ad un numero di pretese risarcitorie, pari ad un numero di potenziali beneficiari della norma, indeterminato ed indeterminabile.

Successivamente, la Corte di Giustizia ha stabilito che i principi indicati dalla sentenza Francovich con riferimento alle direttive dovesse essere applicato anche ad ogni altro atto comunitario che fosse in grado di costituire diritti a favore dei cittadini. Le sentenze Brasserie du Pecheur e Factortame LTD del 1996, utilizzando un paramentro più definito della precedente sent. Francovich, affermarono la possibilità di vedere uno Stato condannato solo in presenza di una "violazione manifesta e grave", rilevando come il "quantum" dovesse essere rapportato in maniera adeguata al danno subito dal cittadino. Le sentenze Palmisani e Maso del 1997 hanno ribadito che spetta al giudice nazionale "far sì che il risarcimento dei danni subìti dai beneficiari sia adeguato".

La sentenza Blasserie du Pecheur e Factortame (cause C-46/93 e C-48/93).


l’estensione della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario

 

Nelle sentenze Brasserie du Pêcheur e Factortame (cause C-46/93 e C-48/93), il principio della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario si applica tutte le volte che il potere legislativo, esecutivo o giudiziario abbia leso un diritto riconosciuto al singolo dal diritto comunitario.

Nella sentenza Brasserie du Pêcheur la Corte di Giustizia ha affermato che: “la facoltà degli amministrati di far valere dinanzi ai giudici nazionali disposizioni del Trattato aventi effetto diretto costituisce solo una garanzia minima e non è di per sé sufficiente ad assicurare la piena applicazione del Trattato. Questa facoltà, intesa a far prevalere l’applicazione di norme di diritto comunitario rispetto a quella di norme nazionali, non è idonea a garantire in ogni caso al singolo i diritti attribuitigli dal diritto comunitario e, in particolare, ad impedire il verificarsi di un danno conseguente ad una violazione di tale diritto imputabile ad uno Stato membro. Orbene, (...) la piena efficacia delle norme comunitarie sarebbe messa a repentaglio se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti fossero lesi da una violazione del diritto comunitario”.

Partendo da queste premesse, la Corte di giustizia amplia la portata del principio di responsabilità extracontrattuale dello Stato considerando irrilevante la natura dell’atto che ha violato il diritto comunitario: la responsabilità dello Stato potrà sorgere in caso di violazione di una disposizione del Trattato, di un regolamento, di una decisione, di una direttiva o anche di un principio generale dell’ordinamento comunitario.

Di conseguenza, uno Stato membro può essere responsabile anche per la mancata o inadeguata attuazione di direttive dettagliate.

Tuttavia uno Stato membro può essere condannato solo se esiste una "violazione manifesta e grave" e la quantificazione del risarcimento deve essere rapportata in maniera adeguata al danno subito dal cittadino (v. anche le sentenze Palmisani e Maso del 10 luglio 1997, cause C-261/95 e C-373/95).

La Corte di giustizia ha affermato inoltre che il giudice nazionale deve verificare se il soggetto danneggiato abbia dato prova di ragionevole diligenza per evitare il danno o limitarne l’entità, ed in particolare se esso abbia tempestivamente esperito tutti i rimedi giuridici a sua disposizione.

Per effettuare tale giudizio, il giudice deve valutare la chiarezza e la precisione della norma violata, l’ampiezza del potere discrezionale dell’autorità nazionale che ha trasposto l’atto normativo comunitario, il carattere intenzionale della trasgressione, la scusabilità dell’errore, oltre al fatto che i comportamenti di una istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere all’omissione o all’adozione dei provvedimenti in questione. La violazione è comunque sufficientemente caratterizzata quando si verifica nonostante una pronuncia (o una costante giurisprudenza) per infrazione o pregiudiziale della Corte di Giustizia relativa all’inadempimento contestato . Tra l’altro, nel caso di specie la Corte coglie l’occasione per ribadire che la responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli per violazioni del diritto comunitario vale “in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario commessa da uno Stato membro, qualunque sia l’organo di quest’ultimo la cui azione o omissione ha dato origine alla trasgressione ; infatti, “l’obbligo di risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario non può dipendere da norme interne sulla ripartizione delle competenze tra i poteri costituzionali” (punto 33).

British Telecommunications - C. Giust. CE, 26-3-1996, C-392/93

la trasposizione non corretta di una direttiva integra gli estremi della responsabilità dello Stato membro per violazione del diritto dell’Unione

 

sancisce il principio che, anche se non ricorrente nel caso di specie, la trasposizione non corretta di una direttiva integra gli estremi della responsabilità dello Stato membro per violazione del diritto dell’Unione ed ancora il principio secondo cui l’analisi delle modalità dell’inottemperanza implica che è necessario stabilire il grado di chiarezza e di precisione della normativa violata

Anche nella quasi coeva sentenza British Telecommunications (26 marzo 1996), la Corte chiarisce altresì che:

- la responsabilità degli Stati membri sussiste anche nel caso di inadempimento derivante dalla violazione del diritto primario ( disposizioni dei Trattati) e non solo da violazioni del diritto derivato (atti posti in essere dalle istituzioni); - il risarcimento può essere naturalmente accordato anche in caso di direttive self executive (direttamente efficaci); - le condizioni per il sorgere della responsabilità sono ancorate al sistema del Trattato e, cioè, sono quelle stesse necessarie per il sorgere della responsabilità extracontrattuale; - il danno risarcibile deve essere reale e comprende il danno emergente e il lucro cessante; - l’azione di responsabilità è intentata dinanzi ai giudici nazionali, secondo la tradizionale ripartizione di competenze tra giudice ordinario ed amministrativo, ed è indipendente da un’eventuale pronuncia della Corte di giustizia di infrazione dello Stato membro.

La sentenza Denkavit

Sentenza Denkavit italiana: l’interpretazione di una norma di diritto UE data nell’esercizio della competenza ex art. 267 TFUE opera ex tunc (da allora), in quanto “chiarisce a precisa, quando ve ne sia bisogno, il significato e la portata della norma, quale deve, o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore. Ne risulta che la norma così interpretata può, e deve, essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa” (CGUE, sentenza Denkavit italiana, 27 marzo 1980, causa 61/79, pt. 16)

 

sentenza Konle (1° giugno 1999)

Statuisce che il risarcimento -in presenza delle condizioni necessarie- è accordato ai singoli, lesi da violazioni degli Stati membri al diritto comunitario (oggi UE), indipendentemente dall’organo statale che ha commesso l’infrazione. Gli Stati non possono, dunque, sottrarsi a responsabilità, invocando la ripartizione di competenze tra gli enti locali del proprio ordinamento: è solo lo Stato che risponde nella sua unità.

 

 

sentenza Hedley Lomas (del 23 maggio 1996)

Sul piano dell’evoluzione giurisprudenziale relativa ai possibili profili di inattuazione di una direttiva comunitaria e del diritto comunitario in genere, merita di essere ricordata altresì la sentenza Hedley Lomas (del 23 maggio 1996), con la quale è stata riconosciuta la responsabilità dello Stato inglese per i danni cagionati non da un atto normativo, ma da un atto amministrativo (diniego di licenza di esportazione) adottato in violazione del diritto comunitario. La società attrice chiedeva il risarcimento dei danni patiti in virtù delle illegittime restrizioni alle esportazioni derivate da atti amministrativi interni che essa considerava illegittimi in quanto contrastanti con il diritto comunitario. La Corte di Giustizia, nel sancire l’incompatibilità dei provvedimenti in questione con il sistema dei trattati, sancì il principio secondo cui l’illecito può anche essere autonomamente commesso dallo Stato-Amministrazione, comportando conseguenze affatto simili a quelle già enunciate in tema di responsabilità dello Stato legislatore.

 

sentenze Konle e Haim
RESPONSABILITA' DELLO STATO AMMINISTRAZIONE

Nell’iter giurisprudenziale seguito dalla Corte di Giustizia sulla materia de qua appare doveroso il richiamo alle sentenze Konle e Haim ove la Corte ha precisato che gli Stati possono assicurare la garanzia della tutela risarcitoria per danni da violazioni comunitarie, prevedendo la responsabilità non dello Stato ma del soggetto pubblico che abbia esercitato il potere in modo dannoso e contra ius. Il problema, in considerazione della tendenza dell’ordinamento italiano ad un più ampio trasferimento di competenze dello Stato verso gli enti territoriali (Regioni, Province ed enti locali), assume particolare rilievo sia per le attività normative, ove l’illecito sia stato perpetrato dalle articolazioni territoriali, sia per l’attività amministrativa dove si è radicato il modello basato sul decentramento amministrativo. Interessante appare dunque la problematica connessa all’individuazione di responsabilità di detti enti segnatamente per quel che riguarda le materie di loro competenza, per le responsabilità derivanti dall’omessa trasposizione normativa delle direttive comunitarie, in considerazione del dictum di cui all’art. 120 Cost., che intestando allo Stato il potere sostitutivo, attribuisce allo stesso il ruolo di soggetto referente a livello comunitario degli inadempimenti nazionali.

Con la sentenza Konle (sentenza 1 giugno 1999, causa 312/97), pronunciandosi in relazione ad una fattispecie riguardante la struttura federale dello Stato tedesco, la Corte ha affermato che il privato può esperire l’azione risarcitoria nei confronti di un Land e non dello Stato federale nel suo insieme, qualora la violazione sia imputabile al solo Land. E questo purché non vengano poste regole sostanziali e procedurali discriminatorie e tali da incidere negativamente sulla effettiva possibilità di ottenere soddisfazione. Condizione, quest’ultima, ribadita dalla sentenza Haim (sent. 4 luglio 2000, causa 424/97), con la quale la Corte ha ammesso la concorrenza della responsabilità dello Stato nazionale con quella dell’ente pubblico responsabile dell’illegittimo diniego dell’ammissione all’esercizio della professione di dentista nel quadro del regime convenzionale della cassa malattia. Secondo la Corte “il diritto comunitario non osta a che la responsabilità gravante su un ente di diritto pubblico di risarcire i danni provocati ai singoli da provvedimenti da esso adottati in violazione del diritto comunitario possa sorgere oltre a quella dello Stato membro stesso”.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - SENTENZA 31 gennaio 2012, n.482
1. Il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai soggetti dell’ordinamento da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema stesso del Trattato CE, e conseguentemente ha sempre riconosciuto ai soggetti lesi un diritto al risarcimento, purché siano soddisfatte tre condizioni: 1) che la norma giuridica comunitaria violata sia preordinata a conferire loro diritti; 2) che la violazione di tale norma sia sufficientemente qualificata ovvero che sia “grave e manifesta” sulla base di una pluralità di indici rivelatori, che devono essere valutati caso per caso dal giudice interno applicando la disciplina nazionale in materia di responsabilità dello Stato; 3) che esista un nesso causale diretto tra la violazione in parola e il danno subito da tali soggetti.

2. Non ricorre incompatibilità dell’ordinamento interno con l’ordinamento comunitario relativamente alla rilevanza dell’elemento della colpa ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’amministrazione, atteso che i concetti enunciati dalla Corte europea in tema di “violazione grave e manifesta” si pongono in linea, in alcuni casi addirittura coincidendo letteralmente, con i parametri e i criteri individuati dalla nostra giurisprudenza interna al fine della definizione dei contorni della “colpa della p.a.”.

3. Negli ordinamenti comunitario e nazionale è identico – ancorché forse indotto da motivazioni diverse – lo sforzo di individuare a livello oggettivo una serie di elementi destinati ad agire come presupposti o condizioni per il riconoscimento di una responsabilità del soggetto pubblico che non discenda sempre e comunque in modo automatico dalla mera illegittimità del suo operato. Sicché, se la giurisprudenza interna séguita ad ancorare l’accertamento della responsabilità anche al requisito della colpa (o del dolo), ciò non comporta necessariamente una violazione dei principi del diritto europeo in subiecta materia, essendo soltanto la conseguenza dell’applicazione delle coordinate entro le quali la predetta responsabilità è inquadrata nell’ordinamento interno.

4. La “oggettivizzazione” della responsabilità dell’amministrazione, promossa dalla Corte di Giustizia europea con la sentenza del 30 settembre 2010, in causa C-314/09, deve restare circoscritta al settore degli appalti pubblici, come si desume non solo dal richiamo alla disciplina europea specifica in materia di ricorsi giurisprudenziali in materia di procedure di aggiudicazione (la citata direttiva 89/665/CEE come modificata dalla direttiva 2007/66/CE), ma anche dall’evidente tensione della Corte all’effettività della tutela in un settore oggetto di particolare attenzione da parte delle istituzioni comunitarie per la sua incidenza sul corretto funzionamento del mercato e della concorrenza.

5. La decisione della Corte di Giustizia europea, resa in causa C-314/09E, qualifica il risarcimento del danno come “alternativa procedurale” al conseguimento del “bene della vita” auspicato dall’impresa ricorrente, ossia l’aggiudicazione, in tutti i casi in cui tale tutela specifica non possa essere accordata all’esito del giudizio: a conferma di come in questo caso la Corte assegni al risarcimento una funzione “riparatorio-compensativa” (oltre che sanzionatoria dell’illegittimo operato della p.a.) più che “retributiva”, ossia di ristoro patrimoniale di un pregiudizio patito, e quindi – per converso – laddove si versi in settori diversi da quello degli appalti pubblici, devono tornare a trovare applicazione i comuni principi enunciati dalla stessa Corte europea in tema di responsabilità degli Stati da violazione del diritto comunitario.

sentenza Dillenkofer (8.10.1996, cause C-178, 179, 188, 189, 190/94)

La sentenza Dillenkofer (8.10.1996, cause C-178, 179, 188, 189, 190/94) riprende il tema già trattato in Francovich. Secondo la Corte, il diritto al risarcimento del danno può sorgere anche a fronte di una semplice trasgressione del diritto comunitario quando il margine di discrezionalità del legislatore a fronte della direttiva comunitaria è considerevolmente ridotto o insussistente. Circa il recepimento delle direttive, con la già citata sentenza Dillenkofer, la Corte si è attribuito il potere di verifica sulla qualità della normativa nazionale che per essere comunitariamente ineccepibile deve avere “efficacia cogente, incontestabile specificità, precisione e chiarezza necessarie per garantire la certezza del diritto”.

 

 

cause C-94/95 e C-95/95, Bonifaci e Berto, e 10 luglio 1997 in causa C-373/95, Maso e sentenza 10 luglio 1997 in causa C-261/95, Palmisani

secondo la Corte, dato che un’applicazione retroattiva, regolare e completa delle misure di attuazione della direttiva potrebbe non garantire pienamente in tutti i casi il risarcimento, i beneficiari possono dimostrare l’esistenza di danni ulteriori eventualmente subiti per non aver potuto fruire a suo tempo dei vantaggi pecuniari garantiti dalla direttiva, che dovrebbero anch’essi essere risarciti (sentenze 10 luglio 1997 nelle cause C-94/95 e C-95/95, Bonifaci e Berto, e 10 luglio 1997 in causa C-373/95, Maso).
Infine, ed è questo, per ora, il più recente sviluppo in questa materia, la Corte per rispondere al quesito proposto dal giudica a quo ha dovuto entrare più nei dettagli affermando che per l’azione di risarcimento può essere corretta, e dunque sufficiente, in astratto, l’imposizione di un termine di decadenza di un anno dalla trasposizione della direttiva in quanto la fissazione di termini di ricorso ragionevoli risponde sia al principio dell’effettività del diritto comunitario, sia al principio della certezza del diritto, ma che il giudice nazionale deve anche valutare se tale condizione sia conforme al principio dell’equivalenza rispetto alle condizioni che riguardano reclami analoghi di natura interna. In proposito, la Corte ha lasciato al giudice nazionale, nella specie quello italiano, il compito di valutare se un’azione di risarcimento dei danni intentata da un singolo ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. - ed è la prima volta che il riferimento alla nostra norma generale sulla responsabilità civile viene fatto in modo esplicito - possa essere diretta contro pubblici poteri per un’omissione o per un atto illecito loro eventualmente imputabile nell’esercizio della potestà di imperio. Ha peraltro precisato che, ove tale norma non possa applicarsi ed il giudice interno non possa dunque stabilire l’equivalenza tra il termine controverso e le condizioni relative a reclami di natura interna, detto termine di un anno potrebbe considerarsi congruo (sentenza 10 luglio 1997 in causa C-261/95, Palmisani).

La Corte di giustizia ha dunque elaborato una nuova ipotesi di responsabilità dello Stato nei confronti dei singoli, che si affianca a quelle eventualmente previste negli ordinamenti degli Stati membri e che prescinde da qualsiasi classificazione delle situazioni giuridiche soggettive note al diritto interno, quale la distinzione tra interesse legittimo e diritto soggettivo propria dell’ordinamento italiano.

 

caso Pfeiffer

Ne consegue che, nell’applicare il diritto interno, il giudice nazionale chiamato ad interpretare tale diritto deve procedere per quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo di tale direttiva, onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art 288, terzo comma, TFUE.

L’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale è inerente al sistema del Trattato, in quanto permette al giudice nazionale di assicurare, nel contesto delle sue competenze, la piena efficacia del diritto dell’Unione quando risolve la controversia ad esso sottoposta

 

sentenza carbonari -
RESPONSABILITA' DELLO STATO LEGISLATORE

Come esattamente rilevato dal ricorrente, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nelle sentenze 25 febbraio 1999 in causa C 131/97, Annalisa Carbonari e a. c/ università degli studi di Bologna e a. 3 ottobre 2000 in causa C 371/97, Cinzia Gozza e a. c/università degli studi di Padova e a., ha affermato che dalle direttive del Consiglio 75/362/CEE (artt. 5 e 7); 75/353/CEE (art. 2, n. 1, lett. c), e 82/76/CEE deriva l'obbligo incondizionato e sufficientemente preciso di retribuire la formazione del medico specializzando. L'adempimento di tale obbligo, ove lo Stato membro (come nel caso dell'Italia) non abbia adottato nel termine prescritto le misure di trasposizione delle direttive, deve essere assicurato mediante gli strumenti idonei previsti dall'ordinamento nazionale. Nella sentenza Carbonari (punti da 48 a 53) la corte di Lussemburgo ha indicato, quali modalità di adempimento di tale obbligo, l'applicazione retroattiva delle norme nazionali di trasposizione, attraverso un'interpretazione di tali norme conforme alle direttive e, ove tale applicazione non sia possibile, attraverso il risarcimento del danno da mancato adempimento, da parte dello Stato membro, degli obblighi derivanti dall'adesione al Trattato CE. Nella sentenza in causa C 371/97 la Corte comunitaria ha inoltre affermato (punto 39) che un'applicazione retroattiva delle misure nazionali di trasposizione costituirebbe una misura sufficiente a garantire un adeguato risarcimento, salva la possibilità di dimostrare ulteriori danni.

La natura incondizionata e sufficientemente precisa delle norme delle direttive, in quanto attribuiscono agli specializzandi un diritto perfetto ad una adeguata remunerazione, da tutelarsi in forma risarcitoria secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia a partire dalla sentenza Francovich, è stata affermata dalle Sezioni unite nella sentenza 5125/2002 e dalla successiva sentenza della terza Sezione civile 7630/2003.

 

Caso Kobler - Österreich. -
RESPONSABILITA' DELLO STATO GIUDICE

Nel caso Köbler (sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler) la Corte di Giustizia ha affermato inoltre che anche la violazione riferibile allo Stato-giudice può fondare la responsabilità dello Stato nel suo complesso.

La limitazione del risarcimento al danno cagionato esclusivamente con dolo o colpa grave del giudice, costituisce una restrizione della responsabilità dello Stato che non può essere accettata in quanto non rispettosa del parametro della "violazione sufficientemente caratterizzata" (id est, manifesta) che può da sola determinare l'insorgere della responsabilità dello Stato.

La Corte sembra peraltro ammettere in linea di principio che la normativa interna possa andare esente da censure laddove, sia pur in via interpretativa, gli organi giurisdizionali di ultima istanza, ne garantiscano una uniforme interpretazione conforme al diritto dell'Unione.

In difetto della dimostrazione di tale circostanza, che lo Stato italiano non è stato in grado di provare, la Corte ritiene che, escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 117/88, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.

Stabilita nuovamente la contrarietà all'ordinamento dell'Unione della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, la parola spetta ora allo Stato italiano.

Due le strade astrattamente percorribili:

la prima (più consigliabile in quanto maggiormente in linea con gli orientamenti della Corte di Giustizia), una modifica per via parlamentare della legge n. 117/1988 in senso conforme alle statuizioni del giudice dell'Unione, che (re)introduca il principio della piena responsabilità civile dei giudici nell'ipotesi di violazione del diritto dell'Unione.
la seconda (meno consigliabile in quanto meno rigorosa e definitiva stante la non vincolatività nel nostro sistema dei precedenti giudiziari), una interpretazione evolutiva della normativa censurata conforme al principio della (piena) responsabilità dello Stato, in tutte le sue articolazioni, per violazione del diritto dell'Unione.

 

sentenza Traghetti Mediterranei. RESPONSABILITA' DELLO STATO GIUDICE

ale normativa, che limita tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, era già stata censurata in sede europea nel 2006, nella nota sentenza resa nel caso Traghetti del Mediterraneo (13 giugno 2006, causa C-173/03).

In quella occasione si è affermato che il diritto comunitario osta ad una normativa nazionale (come quella italiana della L. n. 117/1988) che limiti la sussistenza della responsabilità dello Stato membro ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove tale limitazione conduca ad escludere la sussistenza di tale responsabilità nel caso in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente.

A distanza di cinque anni dal precedente Traghetti del Mediterraneo la Corte ribadisce che costituisce principio fondamentale del diritto dell'Unione l'obbligo per gli Stati membri di risarcire il danno cagionati ai singoli per violazione del diritto dell'Unione.

I presupposti di tale responsabilità risarcitoria, come precisati in più occasioni (sentenze 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C‐48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame, Racc. pag. I-1029, punto 51; 4 luglio 2000, causa C-424/97, Haim, Racc. pag. I-5123, punto 36, nonché 24 marzo 2009, causa C-445/06, Danske Slagterier, Racc. pag. I-2119, punto 20) consistono:

nella violazione di una norma preordinata a conferire diritti ai singoli
nella sufficiente caratterizzazione di tale violazione (che la Corte ravvisa nel carattere "manifesto" della violazione)
nel nesso di causalità diretto fra la violazione e il danno subito dai singoli.
La Corte ha poi ulteriormente precisato che lo Stato è responsabile per ogni violazione cagionata da organi che formano lo Stato apparato, senza che possa rilevare la sua organizzazione interna (ad esempio non rileva l'articolazione territoriale e l'autonomia riconosciuta agli enti sub-statali).

 

La natura giuridica della responsabilità

Il titolo della responsabilità dello Stato

La tesi tutt’ora dominante nella giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Roma, sez. II^, del 17 maggio 2010) è quella che qualifica la responsabilità dello Stato per la mancata attuazione delle direttive comunitarie come responsabilità da illecito ex art. 2043 c.c.. Secondo i giudici di legittimità, al contrario, non si tratta di una responsabilità di natura extracontrattuale, ma indennitaria, dato che non deriva dalla violazione del neminem laedere e, quindi, non da un’attività illecita, ma da un’obbligazione ex lege.

Il danno non è una conseguenza del fatto illecito del legislatore poiché, data l’autonomia tra l’ordinamento interno e quello comunitario, un comportamento del legislatore che può qualificarsi come antigiuridico per quest’ultimo, può non esserlo per l’ordinamento interno, come nel caso in esame.

La responsabilità dello Stato per violazione degli obblighi comunitari dà luogo ad una responsabilità di responsabilità contrattuale, da intendersi tuttavia non già nel senso di responsabilità da “contratto” (che nella specie manca) ma nel senso in cui si ne parla tradizionalmente per significare che l’obbligazione risarcitoria non nasce da un fatto illecito ex art. 2043 c.c., ma è dall’ordinamento ricollegata direttamente alla violazione di un obbligo preesistente, che ne costituisce la fonte.

Il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria ed il dies a quo

L’aver collocato nell’ambito della responsabilità da “contratto” l’inadempimento agli obblighi comunitari perpetuato dallo Stato comporta, secondo il Supremo Collegio, che l’azione del singolo danneggiato da tale violazione si prescriva nel termine ordinario di dieci anni.

Direttive comunitarie, danno da mancato o ritardata trasposizione di direttive comunitarie
Cassazione civile , SS.UU., sentenza 17.04.2009 n° 9147
Direttive comunitarie – danno da mancato o ritardata trasposizione di direttive comunitarie – sussistenza – precisazioni

Anche l'inadempimento riconducibile al legislatore nazionale obbliga lo Stato a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario.

Il diritto al risarcimento deve essere riconosciuto allorchè la norma comunitaria, non dotata del carattere self-executing, sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la violazione sia manifesta e grave e ricorra un nesso causale diretto tra tale violazione ed il danno subito dai singoli, fermo restando che è nell'ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare il danno, ma a condizioni non meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi reclami di natura interna e comunque non tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento.

Il risarcimento del danno non può essere subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa.

Il risarcimento deve essere adeguato al danno subito, spettando all'ordinamento giuridico interno stabilire i criteri di liquidazione, che non possono essere meno favorevoli di quelli applicabili ad analoghi reclami di natura interna, o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento. In ogni caso, non può essere escluso in via generale il risarcimento di componenti del danno, quale il lucro cessante.

Il risarcimento non può essere limitato ai soli danni subiti successivamente alla pronunzia di una sentenza della Corte di Giustizia che accerti l'inadempimento.

La terza Sezione della Cassazione, con sentenza 10813 del 18 maggio 2011 ha confermato che è decennale la prescrizione dell'azione in tema di risarimento del danno che derivi dal mancato recepimento o dal ritardato recepimento di una direttiva comunitaria.

La sentenza 10813 del 2011 formula, infatti, i seguenti principi di diritto:
"a) nel caso di direttiva comunitaria sufficientemente specifica nell'attribuire diritti ai singoli, ma non self-executing, l'inadempimento statuale alla direttiva determina una condotta idonea a cagionare in modo permanente un obbligo di risarcimento danni a favore dei soggetti che successivamente si vengano a trovare in condizioni di fatto tali che, se la direttiva fosse stata adempiuta, avrebbero acquisito i o i diritti da essa riconosciuti, con la conseguenza che la prescrizione decennale del relativo diritto risarcitorio non corre, perchè la condotta di inadempimento statuale cagiona l'obbligo risarcitorio de die in die;
b) qualora, nel caso sub a), intervenga un atto legislativo di adempimento parziale della direttiva sotto il profilo oggettivo verso tutti i soggetti da essa contemplati, dall'entrata in vigore di detto atto inizia il decorso della prescrizione decennale dell'azione di risarcimento danni di tali soggetti per la parte di direttiva non adempiuta;
c) qualora, nel caso sub a), intervenga invece un atto legislativo di adempimento della direttiva che sia parziale sotto il profilo soggettivo, nel senso che, o provveda solo per il futuro, o provveda riguardo a determinate categorie di soggetti fra quelle cui la direttiva era applicabile, accomunate esclusivamente dal mero dato temporale della verificazione delle situazioni di fatto giustificative dell'acquisto del diritto o dei diritti per il caso che la direttiva fosse stata attuata tempestivamente, il corso della prescrizione per i soggetti esclusi non inizia, perchè la residua condotta di inadempimento sul piano soggettivo continua a cagionare in modo permanente il danno e, quindi, a giustificare l'obbligo risarcitorio;
d) qualora, sempre nel caso sub a), l'atto di adempimento parziale sul piano soggettivo concerna invece alcuni dei soggetti riguardo ai quali si erano verificate situazioni di fatto giustificative dell'acquisto del diritto o dei diritti per il caso che la direttiva fosse stata attuata tempestivamente, scelti, però, sulla base di circostanze fattuali diverse dal mero dato temporale che li accomuna, la condotta di inadempimento per i soggetti esclusi non può più dirsi cagionare in modo permanente la situazione dannosa nei loro confronti, con la conseguenza che riguardo ad essi inizia il corso della prescrizione decennale del diritto al risarcimento;
e) il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto a favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica negli anni dal 1° gennaio 1983 all'anno accademico 1990 - 1991 in condizioni tali che se detta direttiva fosse stata adempiuta avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore dell'art. 11 della l. n. 370 del 1999".

Tra i motivi della decisione si legge, al paragrafo 3: "... il Collegio intende in primo luogo dare continuità all'insegnamento delle Sezioni Unite sulla qualificazione della pretesa degli specializzandi relativa alla mancata remunerazione per l'attività prestata nell'ambito dei corsi di specializzazione. Insegnamento che si è espresso con il principio di diritto secondo cui: <<In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto dalle direttive comunitarie (nella specie le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto -anche a prescindere dall'esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria- allo schema della responsabilità per inadempimento dell'obbligazione "ex lege" dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell'ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell'ordinamento interno. Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato all'esistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall'ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un'idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile , restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all'adempimento di una obbligazione "ex lege" riconducibile all'area della responsabilità contrattuale, all'ordinario tremine decennale di prescrizione>>".

 

 

normativa

  • Legge europea 2014

    Il 3 marzo 2015, il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitva il disegno di legge europea per il 2014. Il provvedimento chiude 11 procedure d'infrazione e 7 Casi EU pilot, prevede il recepimento di una direttiva che scade nel 2016 e attua 2 decisioni del Parlamento europeo e del Consiglio UE. Diversi i settori interessati dal provvedimento: libera circolazione delle merci, libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali, trasporti, fiscalità e dogane, aiuti di stato, salute pubblica e sicurezza alimentare, lavoro e politica sociale, ambiente, protezione civile »»»»»


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